DOVERA – «Se la siccità perdura e non vengono presi provvedimenti strutturali possiamo anche scordarci di andare avanti con questo tipo di agricoltura. Siamo di fronte a una sfida epocale, causata dai cambiamenti climatici. Bisogna adottare misure che ci consentano di tornare ad irrigare i terreni, non possiamo vivere un’altra estate come quella del 2022. Purtroppo, nonostante i mesi di tempo, ancora non è stato fatto nulla di concreto, innanzitutto a livello regionale».
Gli agricoltori del Cremasco, in particolare quelli che hanno le loro aziende nella fascia di territorio caratterizzata dai prati stabili, lanciano l’ultimo disperato appello alle istituzioni. Centinaia di allevatori stanno vivendo la crisi idrica invernale come un preludio a tinte fosche di un’estate che sarà ancora più devastante di quella del 2022. A rischio il foraggio per il bestiame. Laddove infatti la siccità ha già fatto danni, un secondo anno senz’acqua, significherebbe chiudere un’esperienza che va avanti da 500 anni. Il riferimento è ai famosi, e unici nel panorama nazionale e regionale, prati stabili del Pandinasco.
«Se anche quest’anno non avremo l’acqua questo foraggio non ci sarà più – sottolinea Francesca Mariani, allevatrice di Dovera –: purtroppo, vista l’esperienza 2022 sappiamo già a cosa andiamo incontro, se non scorre l’acqua lungo le aste principali i fontanili non partono e chi come noi ha sempre avuto l’acqua con questo sistema, tra Rivolta, Pandino e Dovera e poi giù verso l’Adda, non può irrigare. A dicembre avevamo chiesto un incontro con l’ex assessore regionale all’Agricoltura Fabio Rolfi, adesso la palla è passata al nuovo assessore Alessandro Beduschi che non so quanto conosca del nostro problema. Non possiamo vivere di pioggia, anche perché non piove. Chi irriga con i coli di chi sta a monte, rischia di non poterlo fare mai più. Si sta distruggendo un equilibrio che va avanti da 500 anni. Nella nostra azienda abbiamo 1.500 pertiche che nel 2022 non hanno ricevuto una goccia d’acqua».
Le richieste degli allevatori sono già state presentate da tempo in Regione e dovranno anche essere tenute in considerazione dal commissario straordinario per l’emergenza. «Interrompere la politica del deflusso minimo vitale nei fiumi, ad esempio in Adda – sottolinea un altro allevatore che ha la sua azienda a Pandino –: non si possono vedere per tutto l’autunno e l’inverno che 22 metri cubi di acqua al secondo se ne vanno fino al mare. Bisogna trattenerla a monte, nel lago in primis».
Mariani aggiunge: «Non dimentichiamo che le risorgive non sprecano acqua: si usa sempre la stessa. Si irriga a nord, filtra nel terreno e risale dai fontanili più a sud pronta per essere impiegata una seconda volta, e così via. Inoltre, l’effetto osmotico della terra funge da fito depuratore. Ogni volta che l’acqua risale è sempre più pulita». Un circolo virtuoso, che ha un bassissimo impatto sul consumo della risorsa idrica, preserva la fauna ittica nelle risorgive e nelle rogge («ci sono pesci autoctoni che in Adda non si trovano più»), ma oggi rischia di sparire per sempre.
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