Siamo di fronte a un bivio per il comparto italiano dell’automobile. Con la transizione ecologica alle porte e non più procrastinabile, la mancanza di figure tecniche adeguate può mettere a rischio l’intera filiera del Paese. Un’ulteriore spinta in questa direzione è arrivata proprio nei giorni scorsi con la decisione del Parlamento europeo di vietare a partire dal 2035 la vendita di nuove auto alimentate da motori termici, con tutte le conseguenze del caso anche per il relativo indotto. Non sono solo destinati a scomparire i veicoli a benzina e diesel, come pure quelli ibridi, ma saranno cambiati anche interi processi produttivi.

Le conseguenze di questa disposizione pongono una questione rilevante, ovvero quella della riqualificazione di circa 120 mila persone impiegate nel settore e nella filiera automotive, per le quali è urgente introdurre una strategia efficace legata alla formazione e all’aggiornamento delle competenze dei lavoratori che operano nel comparto e nelle industry collegate o che vi entreranno nei prossimi anni. Il rischio, se non si procederà in maniera rapida alla formazione di queste risorse, è di generare una crisi sociale ed economica su larga scala.

L’evoluzione del sistema comporterà comunque nuove opportunità d’impiego per i lavoratori, anche in settori attigui a quello dell’auto. Basti pensare alla questione delle infrastrutture, come ad esempio i punti di ricarica, che in Italia si stanno diffondendo in questi anni, ma sono tutt’altro che ramificati e numericamente sufficienti rispetto alla prospettiva di un passaggio in massa all’elettrico. L’accelerazione nello sviluppo e nella diffusione di questi impianti richiederà dunque un’iniezione di personale specializzato, in grado di reggere il passo con la crescente domanda di mercato di vetture elettriche conseguente ai vincoli posti dalla UE.

La transizione verde, tra l’altro, non riguarda solo il settore dell’auto. Se vista da un punto di osservazione allargato, solo tra il 2023 e il 2026 la transizione verso la sostenibilità richiederà quattro milioni di lavoratori con competenze green di alto e medio profilo che vanno formate. Come confermano anche i dati a nostra disposizione, il problema delle competenze per il mondo del lavoro è già ora rilevante: a fronte di un’elevata richiesta di figure tecnologiche e specializzate, circa tre aziende su quattro hanno difficoltà nel trovare i talenti necessari. Una tendenza che colpisce in modo trasversale quasi tutti i settori, a conferma di come sia ancora più cruciale investire su upskilling e in particolare sul reskilling delle persone, se vogliamo diminuire questo divario e supportare la crescita economica e sostenibile delle aziende e del Paese.

In questa direzione, un esempio di strumento efficace e immediato potrebbe essere rappresentato dalle Academy, che consentono di gestire il reskilling di persone in transizione da settori in crisi verso quelli che generano una nuova e rinnovata domanda. Si tratta solo di uno degli strumenti attivabili e che sfrutta le possibili sinergie di azioni tra pubblico e privato per valorizzare le competenze di chi si trova in situazioni di crisi e indirizzarle verso i bisogni dei settori che hanno un’elevata richiesta di persone.

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